Una grande donna e
scienziata con una vita "secolare" : Caroline Lucretia Herschel (1750-1848). Una vita che sembrava
predestinata, come molte di allora, a un’esistenza grigia e sottomessa ai
voleri ed esigenze della famiglia, originaria di Hannover, e si trasformò
invece in una specie di favola, con una delle più strane carriere di scienziata
che si ricordi. Il padre voleva che la figlia Caterina s’istruisse, ma la madre
ne voleva invece fare una donna di casa per avere un aiuto nei lavori
domestici, e la spuntò sul marito. Caroline non ebbe così alcuna educazione e
la sua vita prese la direzione tranquilla e castigata di un’esistenza da eterna
“signorina”, di allora, a servizio della famiglia.
Ma con la sua intelligenza e caparbietà la Herschel diede
una sterzata a 180 gradi, favorita certamente dall’innata passione per la
conoscenza che portava dentro di sé e che il padre, suonatore di oboe nella
banda di Hannover, non mancò di agevolare per quel che poteva. Appena le fu
possibile sfuggì alla madre e raggiunse il fratello William, modesto musicista
ma grande astronomo che, nel frattempo, si era spostato in Inghilterra, aveva
compiuto già notevoli scoperte, fra cui quella del pianeta Urano, e guadagnava
decentemente, dato che era alle dipendenze del Re.
Fu lui a iniziarla alla musica, alla matematica e fisica di
allora e Caroline apprese finalmente, e in breve tempo, quella scienza che le
era stata negata in gioventù.
Da domestica del fratello ne divenne ben presto l’assistente
arguta e scrupolosa, sia nelle lunghe notti passate a osservare il cielo che,
di giorno, per i complessi calcoli necessari in astronomia, allora fatti
faticosamente a mano.
Questa nuova condizione, a quell’epoca, sarebbe già stata
una vittoria e un segno di distinzione ma Caroline, pur rimanendo
collaboratrice del fratello, si rese completamente autonoma come scienziato. Fu
la prima donna a scoprire una cometa il 1 agosto 1786, e questo le valse la notorietà
internazionale. Da allora fu un susseguirsi continuo di successi: 8 comete
scoperte, un importante commento al lavoro del grande astronomo dell’epoca,
Flamsteed, un intero catalogo di nuovi oggetti celesti, fra cui nebulose e
galassie, scoperti col telescopio di cui gli Herschel disponevano.
Grazie a tutto questo fece parte dell’Olimpo della scienza
di quell’epoca, con amici del calibro di Gauss, ritenuto il più grande
matematico mai vissuto, e fu, assieme a Mary Somerville altrettanto famosa
studiosa di matematica e fisica, nientemeno che la prima donna ammessa alla
Società Reale di Scienza. Un evento epocale. I suoi 97 anni li festeggiò
suonando per i principi reali un pezzo di musica scritto dal fratello William.
Morì l’anno dopo.
In suo onore fu assegnato il nome di “Lucretia” a un
asteroide nel 1889 e quello di “Caroline Herschel” a un cratere lunare nel
1935.
Una storia diversa, ma egualmente importante, è quella, aimè
assai più breve, di Henrietta Swan Leavitt (1868-1921). Da un lavoro modesto,
malpagato e ripetitivo riuscì, grazie al suo ingegno, a trarre il massimo: una
delle leggi che sconvolsero la nostra visione dell’Universo permettendo agli
astrofisici di misurare finalmente le distanze delle galassie in modo semplice
e accurato.
La Leavitt fu assunta come “calcolatore” all’Osservatorio di
Harvard. Questo curioso ruolo è stato presente negli Osservatori Astronomici,
anche italiani, fino agli anni ’60 del secolo scorso. L’astronomia, infatti, è
una scienza che comporta una quantità enorme di calcoli che, prima dell’avvento
dei computer, dovevano essere svolti a mano da schiere di “calcolatori”
umani. La Leavitt entrò dunque nel 1893
nel gruppo di donne calcolatrici guidato dal famoso astronomo Pickering. Il
problema di allora era visionare e catalogare una quantità enorme di lastre
fotografiche che erano prodotte dai vari telescopi di Harvard. Pickering aveva
provato a far lavorare studenti maschi, pagandoli poco o niente, ma il lavoro
non era interessante e i giovani riempivano di errori le loro relazioni sulle
varie lastre.
Pickering virò allora sulle donne, mettendo insieme un team
che lavorò per anni molto bene, e decisamente a costi ridotti rispetto ad
altrettanti colleghi maschi. La Leavitt era disgraziatamente sorda, ma si pensa
che questa menomazione le permettesse addirittura una migliore concentrazione
nell’esame delle lastre fotografiche che riportavano le immagini delle varie
zone di cielo riprese.
Il lavoro di catalogazione delle lastre di Harvard, eseguito
dal gruppo di donne, fu massacrante ma mastodontico e preziosissimo per
l’astrofisica, e in questo la Leavitt si distinse anche sopra le altre.
Ma la vera scoperta si deve al suo acume: notò, infatti, che
alcune stelle, chiamate da allora Cefeidi dato che la prima scoperta da
Henrietta fu proprio in quella costellazione, variavano la loro luminosità con
una costanza e periodicità che potevano essere descritte da una semplice legge
matematica.
La cosa non era da poco, La Leavitt aveva scoperto una
specie di stella che poteva essere considerata come un “faro” nell’Universo. E
inoltre questa particolare specie di stelle era molto diffusa nell’Universo,
quindi facile da trovare e usare: infatti, ogni volta che si osserva una stella
variare con quella legge si può capire quanto dista, confrontando la luminosità
che si osserva con quella che sappiamo, deve avere intrinsecamente. Esattamente
come un faro: da quanto luminoso o debole lo vediamo, possiamo sapere quanto
dista, conoscendo ovviamente la sua luminosità intrinseca.
Questa legge squassò letteralmente, agli inizi del secolo
scorso, i confini dell’Universo conosciuto, centuplicandoli e più dato che
permise di capire finalmente che le “nebulose” che si intravedevano con i
telescopi di allora, non facevano parte della nostra Galassia, la Via Lattea,
ma erano invece erano lontanissime galassie.
Grazie alla Leavitt l’Universo cambiò in un attimo e si popolò quindi di
quei miliardi di galassie che conosciamo oggi, ognuna con miliardi di stelle.
Purtroppo la Leavitt, che fece anche altre scoperte di
rilievo, morì ancora giovane e non poté mai ritirare quel premio Nobel per cui
anche era stata unanimemente proposta.
Per onorarla, anche per lei venne assegnato il suo nome ad
un asteroide e ad un cratere lunare.
Due storie che ci raccontano come si possa cambiare con
intelligenza e caparbietà, e forse un po’ di fortuna, il destino che sembra
esserci assegnato.
Post di straordinaria bellezza, Leo. Se me lo consenti lo segnalo su scientificando, riportandone l'introduzione e rimandando la lettura al tuo blog.
RispondiEliminaFammi sapere.
Annarita