Il fuoco l’ha fatta tornare quel che era, le macerie sono
infatti quelle tipiche di un capannone industriale bruciato. E un capannone
era, ma dentro c’era un sogno che era nato e cresciuto grazie alla visione e
soprattutto all’entusiasmo di un uomo fuori dal normale, Vittorio Silvestrini, aiutato
dal sorriso e dal sudore di tanti amici, colleghi napoletani e no, che con
orgoglio ti spiegavano, nei primi tempi quelli dell’edificazione e del riscatto
di un’intera città, che lì c’era prima una delle zone industriali tragicamente
deperite e più inquinanti del Paese.
Ora c’erano loro, che costruivano con
professionalità indiscussa una Città della Scienza, quasi una nuova Gerusalemme
Celeste, fatta di mattoni, luci, tabelloni esperimenti che lì potevi fare,
finalmente, quante volte volevi. E lavoravano giorno e notte, letteralmente nei
primi tempi. E tu lì in un pomeriggio potevi finalmente capire perché il cielo
sembra muoversi attorno a te se lo stai a guardare, perché sul ghiaccio si
scivola e capire cosa succede quando una massa ne colpisce un’altra, perché
tanto erano due palline legate allo spago e ti era tutto incredibilmente famigliare.
La prima volta che ci andai, parecchi anni fa per tenere un corso di
aggiornamento, c’era il Ministro Ruberti, ministro alla Ricerca, in relax da una riunione, a passeggio attraverso valanghe
di bambini e ragazzi che incrociavano da tutte la parti i padiglioni, come
stormi di rondini impazzite inseguiti da insegnanti, quasi martiri, urlanti ma
felici di vedere finalmente i loro alunni e alunne interessati a qualcosa, in
una realtà pur deteriorata come quella della periferia napoletana.
Si è vero, si disse fra noi a commento, molti
vengono qui per fare confusione e per un momento di libertà, ma quanto di
questo resterà loro nella testa, certo qualcosa che tutti, proprio tutti,
ricorderanno. Ed era proprio così, bastava guardare i ragazzini presi dalla
frenesia del conoscere, provare tutti, proprio tutti, gli esperimenti
disponibili. Generazioni sono passate
per quei grandi ambienti, hanno consumato le poltrone del planetario mentre gli
“adulti” stavano in congresso poco più in là o cercavano la fortuna impiantando
una “start up” nell’incubatore poi annesso alla Città della Scienza.
E’ bruciato un sogno, prima ancora di un’opera fondamentale
per la città di Napoli e per noi tutti, costruita negli anni fra mille e mille
difficoltà finanziarie ed economiche che aveva superato anche destreggiandosi
bene anche nella foresta dei finanziamenti europei e con l’aiuto di tanti che
hanno portato. Il sogno di una generazione che pensava, e pensa, che la Scienza
sia importante per la riscossa culturale di un Paese.
Brucia la città della Scienza, brucia un simbolo e verrebbe
da dire che è quasi una metafora della scienza italiana odierna, costretta a
far emigrare oramai il fior fiore dei suoi più bravi figli e figlie. Ma non lo è perché i sogni non bruciano,
basta farli continuare. Chi sogna solo di notte perde molte cose che sanno
quelli che sognano anche di giorno.
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